Il petrolio finisce in mare a causa di incidenti petroliferi, che rappresentano una delle più gravi minacce per l’ambiente marino. Ogni volta che il petrolio si riversa in mare, con piccoli sversamenti o per effetto di un vero e proprio disastro petrolifero, inizia un processo complesso che coinvolge chimica, biologia e fisica. Comprendere come il greggio si comporta a contatto con l’acqua è fondamentale non solo per ridurre i danni, ma anche per imparare a gestire meglio i casi di incidenti futuri.
In questo articolo vedremo come il petrolio si diffonde sulla superficie del mare, come interagisce con i fondali marini, quali sono le conseguenze per la flora marina e quale ruolo hanno i batteri marini e le condizioni meteorologiche nel determinare l’impatto finale.
Dalla fuoriuscita alla marea nera
Un sversamento di idrocarburi può avere diverse origini: guasti su una nave cisterna, malfunzionamenti in una piattaforma petrolifera, perdite durante le operazioni di carico e scarico nei porti o persino sabotaggi e guerre. In tutti i casi, il risultato è lo stesso: il petrolio entra in contatto con l’acqua e si diffonde rapidamente.
La prima fase è quasi sempre la formazione di una chiazza di petrolio sulla superficie del mare. Questa pellicola, sottile ma tossica, si espande in modo sorprendentemente veloce: basta una sola goccia di petrolio per coprire più di un metro quadrato d’acqua. Quando le dimensioni aumentano, si parla di marea nera, una distesa scura che ricopre tratti di oceano, soffocando l’ecosistema e impedendo alla luce di penetrare.
Cosa succede al petrolio sulla superficie del mare
Una volta a contatto con l’acqua, il petrolio non resta uguale a sé stesso: subisce trasformazioni fisiche e chimiche che ne determinano la dispersione. Le principali fasi sono:
- Evaporazione: le frazioni più leggere del greggio evaporano nell’atmosfera. In alcuni casi questo può ridurre parzialmente la quantità presente in mare, ma contribuisce all’inquinamento dell’aria.
- Dispersione: onde e correnti frammentano il petrolio in minuscole gocce, che si distribuiscono nella colonna d’acqua.
- Emulsione: il greggio si mescola con l’acqua formando una sostanza densa e vischiosa, chiamata “mousse di petrolio”, molto difficile da rimuovere.
- Ossidazione: la luce solare e l’ossigeno innescano reazioni chimiche che modificano la composizione del petrolio.
- Sedimentazione: una parte del petrolio si lega a particelle solide sospese nell’acqua e precipita verso i fondali.
Da questo momento in poi, le conseguenze dipendono da vari fattori, tra cui il tipo di greggio sversato, le correnti e soprattutto le condizioni meteorologiche.
L’impatto sui fondali marini
Non tutto il petrolio resta in superficie: parte affonda, raggiungendo i fondali marini. Qui il problema è ancora più grave perché la degradazione è lenta e le sostanze tossiche rimangono a lungo nell’ambiente.
Il petrolio che si deposita sul fondo può soffocare le comunità bentoniche, uccidere organismi che vivono nei sedimenti e contaminare per anni la catena alimentare. Anche piccole quantità possono avere effetti devastanti sulla riproduzione di pesci, crostacei e molluschi.
Uno degli esempi italiani più tristemente noti è il disastro della petroliera Haven, avvenuto nel 1991 davanti alle coste liguri, che ha contaminato il mare per decenni con migliaia di tonnellate di petrolio.
L’azione dei batteri marini
Nonostante la gravità del problema, il mare possiede un meccanismo naturale di difesa: i batteri marini che si nutrono di idrocarburi. Questi microrganismi utilizzano il petrolio come fonte di energia, trasformandolo in sostanze meno nocive.
Tuttavia, questo processo può essere lento e non sufficiente nei casi di grande sversamento. Inoltre, la loro attività è condizionata dalla temperatura, dall’ossigeno disponibile e dalla presenza di nutrienti come azoto e fosforo. In ambienti freddi e profondi, la degradazione può richiedere decenni.
Per questo motivo, in alcune emergenze vengono usate tecniche di bioremediation: si stimola la crescita dei batteri aggiungendo nutrienti o immettendo ossigeno nell’acqua. È un esempio di come la scienza provi a collaborare con i processi naturali per limitare i danni.
Il ruolo delle condizioni meteorologiche
Il destino di una chiazza di petrolio è fortemente influenzato da vento, correnti e moto ondoso. Le condizioni meteorologiche possono accelerare la dispersione, spingere il petrolio verso la costa o frammentarlo in gocce più piccole.
- Con mare calmo e poco vento, la macchia tende a restare compatta e a spostarsi lentamente.
- Con mare mosso, la dispersione è maggiore, ma aumenta anche la possibilità che il petrolio si emulsionI e affondi.
- In presenza di tempeste, il greggio può raggiungere zone lontane dal punto di sversamento, rendendo più difficile ogni tentativo di contenimento.
In poche ore, una chiazza può cambiare completamente forma e posizione, complicando le operazioni di soccorso.
Gli effetti sulla flora e fauna marine
Il petrolio è letale per la vita marina. Sulla flora marina, come le praterie di posidonia, riduce la fotosintesi impedendo alla luce di filtrare. Per pesci e mammiferi marini è tossico se ingerito, e può danneggiare branchie e apparati respiratori.
Uccelli marini e tartarughe sono tra le vittime più visibili: il petrolio ricopre le piume e le penne, compromettendo la capacità di volare, galleggiare e mantenere la temperatura corporea.
Le conseguenze non si limitano al breve periodo: il petrolio che rimane intrappolato nei sedimenti può entrare nella catena alimentare, accumulandosi negli organismi e causando effetti a lungo termine sulla salute delle popolazioni marine.
Disastri petroliferi nella storia
La storia degli incidenti petroliferi è purtroppo lunga. Alcuni dei più devastanti sono:
- Torrey Canyon (1967): al largo della Cornovaglia, con oltre 100.000 tonnellate di greggio riversate in mare.
- Amoco Cadiz (1978): in Bretagna, con oltre 200.000 tonnellate di petrolio fuoriuscite.
- Exxon Valdez (1989): in Alaska, uno dei più noti disastri, con effetti ancora visibili decenni dopo.
- Deepwater Horizon (2010): il peggior incidente nel settore delle piattaforme, con conseguenze su larga scala per il Golfo del Messico.
Questi eventi hanno spinto governi e comunità scientifica a studiare tecniche di prevenzione e contenimento, ma i rischi restano alti.
Le soluzioni possibili
Di fronte a uno sversamento, gli interventi possono essere diversi:
- Barriere galleggianti per contenere la chiazza.
- Skimmer per aspirare il petrolio dalla superficie.
- Dispersanti chimici per frammentare il greggio (con pro e contro ambientali).
- Tecniche biologiche per stimolare i batteri marini.
- Pulizia manuale delle coste in caso di spiagge contaminate.
Nessuna soluzione è perfetta: ogni intervento comporta costi, limiti e rischi. L’unica vera strategia efficace rimane la prevenzione e la riduzione dell’uso del petrolio come fonte energetica.
La consapevolezza come forma di tutela
Comprendere come finisce il petrolio in mare aiuta a rendersi conto della fragilità degli ecosistemi. Ogni goccia può provocare conseguenze su vasta scala. Gli incidenti petroliferi ci ricordano che l’oceano non è infinito né immune, e che l’impatto sulle flora marine e sulla vita acquatica può durare decenni.
Conclusione
Ogni volta che il petrolio finisce in mare, la natura entra in uno stato di emergenza: dalla superficie del mare ai fondali marini, passando per la flora marina e gli organismi viventi, tutto viene coinvolto in un equilibrio che rischia di spezzarsi. Gli incidenti petroliferi, piccoli o grandi che siano, lasciano un segno profondo che non scompare in pochi giorni.
Per noi di Nieddittas il mare è vita, lavoro e futuro. È la nostra casa e il nostro orizzonte. Per questo crediamo che conoscere e rispettare l’ambiente marino sia il primo passo per proteggerlo. Solo con consapevolezza e responsabilità possiamo sperare di consegnare alle prossime generazioni un mare ancora ricco, vivo e capace di rigenerarsi.



